Enrico Togni, un attaccabrighe.

Ho scritto un po’ di tempo fa di Enrico Togni, del suo San Valentino, della sua e della mia Val Camonica. Qui.

Qualche giorno prima di Natale ho dato il suo numero di cellulare a mio padre, ché voleva comperare alcune bottiglie dei suoi vini di cui tanto gli ho parlato e mai nulla fatto assaggiare.

A mezzogiorno dell’antivigilia ricevo una telefonata, dall’altro capo una voce paterna venata di ebbrezza mi narra di assaggi dalle botti, di nebbiolo elegante, di erbanno deciso, di barbera impressionante e io sorrido: quasi rido mentre mi immagino Enrico che fa il diavolo tentatore e mio padre che non vede l’ora di lasciarsi irretire.

“Enrico ti ha regalato una bottiglia di Attaccabrighe, però ha detto che dobbiamo berla insieme!”

Nessun problema, ma solo a patto che si sorbisca la compilazione della scheda di valutazione di seguito resa in prosa, ché a voi il tedio lo risparmio volentieri 😀

All’occhio paglierino intenso, cristallino e trasparente. Il perlage risulta fine e di ottima persistenza.

Schietto, fine, non particolarmente intenso, al naso si presenta immediata la nota agrumata, a tratti citrina, quindi pasticceria secca e zucchero a velo.

In bocca è corposo, caldo, non troppo rotondo e secco. La freschezza come una lama si appoggia su un altare salino.

Sbilanciato verso l’acidità, ma in modo godibile… taluni direbbero non equilibrato, ma comunque armonico.

In chiusura risulta intenso e fine, di discreta persistenza.

Praticamente pronto.

Dopo qualche istante dal bicchiere si affacciano anche una pesca e una pera eccezionalmente mature e carnose, una bella sorpresa.

Pensando che la sboccatura è avvenuta pochi giorni prima pare evidente che il vino sia su un’ottima strada!

Credo sia giunto il momento di spiegare cos’è L’Attaccabrighe: barbera in purezza metodo classico blanc de noir a dosaggio zero, non mi ricordo la vendemmia, ma mi è stata detta e prima o poi risalirò alla data, in compenso vendemmia 2010, la sboccatura è scritta in etichetta: 12/12/2013.

L’assaggio vince qualunque pregiudizio. (cit.)

Anche per Enrico prevedo qualcosa di più strutturato su WWP, ma in quel caso mi dovrò prendere almeno un week end…

Camunia Imperat

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Az. Agr. Pietro Torti – Castelrotto di Montecalvo Versiggia PV

Il mio caro amico Roger Marchi si starà facendo delle grasse ghignate vedendo questo post uscire in tempi tanto rapidi. Che dire, anno nuovo… beh, al di là dei buoni propositi, che al solito lasciano il tempo che trovano, non posso che ringraziarlo per la telefonata di ieri mattina con cui mi invitava a una degustazione informale dal buon Sandro Torti, titolare dell’Azienda Agricola Pietro Torti in Castelrotto di Montecalvo Versiggia PV, per assaggiare i vini nuovi da poco (pochissimo) imbottigliati.

Premessa: dell’azienda non so moltissimo; posizione, estensione e caratteristiche pedoclimatiche dei vigneti non le so ancora e questo è il motivo per cui ne scrivo, almeno per il momento, qui e non su WWP. Con questo post voglio appuntare delle impressioni e celebrare un paio di chicche, ché ieri credo di aver bevuto qualcosa di davvero fuori di testa (leggerete più avanti).

Arrivare da Sandro non è facilissimo, perché, anche se Castelrotto è una frazione di Montecalvo, ci si arriva da un bivio a Santa Maria della Versa: fatevi spiegare la strada, io me ne guardo bene visto il rally collinare di ieri… E no, il satellitare non è di grande aiuto!

Ad ogni modo, dopo qualche tornante in controsterzo e un paio di inversioni a U sono giunto dal nostro, sano e salvo. Giusto il tempo di scambiare un po’ di convenevoli e mi trovo seduto davanti a un calice: si comincia!

Riesling (italico) vivace 2013 12,5 % vol
Imbottigliato da una decina di giorni, vendemmiato nella seconda decina di settembre, fermentazione e affinamento in acciaio, presa di spuma in autoclave. Al naso la carbonica evidente testimonia l’imbottigliamento recentissimo, ma lascia rapidamente spazio ad albicocca e pesca, con curiosa alternanza di croccantezza e sciroppo. In bocca ha ingresso morbido, di frutta; la freschezza è piacevole e armonica, di gran beva. Forse leggermente corto, ma la nota di pesca permane, seppur solitaria. Gastronomico, piacevole, in una parola pericoloso.

Fagù 2013 13 % vol
Da questo chardonnay emana una pera fortissima, riconfermata in bocca, dove si unisce a piacevolissime freschezza e sapidità. Nota pseudocalorica ben presente in chiusura. Dopo qualche minuto dal bicchiere viene un delicatissimo profumo di agrumi, una nota come di cipria: dolcezze al naso di grandissima eleganza e grande piacevolezza. Bello.

Bonarda 2012
Naso estremamente sottile, con calma si presenta un frutto rosso carnoso, ma molto discreto. In bocca una semplicità gustativa e una linearità estremamente piacevoli, ma forse mi aspettavo qualcosa di più.

Pinot nero 2012
Come per la bonarda, naso sottile che con calma regala una mora piacevole e delicata. In bocca ineccepibile nella sua semplicità.

Otto 2010
Pinot nero di maniera, onesto e ben fatto.

Punzecchiato da Roger, scherzosamente polemico riguardo i vini rossi, Sandro, tanto buono quanto orgoglioso, sbotta: “Adesso vi faccio assaggiare un Fagù del 1992”

Cala il silenzio.

Fagù 1992
Biscotto caramellato, giuro, come quello che a volte accompagna il caffè al bar. Quindi cereali maltati, quasi fosse una birra, densa, pastosa. Infine la frutta, non cotta, ma totalmente trasfigurata. E poi nocciola.
(Chardonnay fermentato e brevemente affinato in acciaio, quindi bottiglia. Nulla più.)
In bocca si sprigiona una freschezza fuori dal mondo, godibilissima ed armonica al tutto, mentre il frutto, polposo e ricco, non è semplicemente presente, ma vivo.
Ha 22 anni questo vino e io non riesco a smettere di pensarci.

Resto interdetto. Anzi, restiamo tutti interdetti. Tranne Sandro, che sorride sornione e, non contento, sfodera un incredibile riesling italico fermo.

Moglialunga 2010
In bocca una ricchezza minerale eccezionale, unita a una piacevole freschezza. In chiusura lo pseudocalore è notevole, come la persistenza, lunga e compatta. Wow. Sale che torna sulle labbra, sulla lingua… è una meraviglia!

La sensazione fin qui è che i bianchi di Sandro siano qualcosa di molto interessante, non solo nell’insieme della sua produzione, ma anche all’interno di un quadro più ampio: la questione merita un’analisi più dettagliata, più attenta e soprattutto densa di confronti (con altri vini) e confronto (con altri degustatori), ma avevo bisogno di scrivere qui, quasi al volo, quello che mi è frullato per la testa ieri pomeriggio.

Bello, davvero: dovrò tornarci per assaggiare il resto e soprattutto per vedere e parlare delle vigne, ché sono troppo curioso di vederle e capire cosa “succede” lì.

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Vienna…

Ci sono luoghi dove ti senti a casa.

Uno di questi luoghi, forse Il Luogo, per me è Vienna.

Con le sue vie, le sue culture, le sue voci.

E i suoi vini.

http://www.worldwinepassion.it/vino/vino-e/territorio/143/vienna-alla-scoperta-del-vigneto-urbano-di-fritz-wieninger.htm

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Bele Casel

Questo articolo è rimasto quasi un anno chiuso in una cartelletta. Per diversi motivi non è mai stato pubblicato, né qui né altrove. A ricordarmelo l’apertura sfortunata della bottiglia che avevo portato in regalo al mio ospite: un tappo secco e un vino ossidato.

Con molto ritardo, eppure molto in anticipo rispetto all’esperienza (in questo caso soltanto letta) di #serbatoy1, ecco quello che fu il mio incontro con Luca Ferraro di Bele Casel, nei primi giorni di gennaio 2013.

E io resto qui, con l’obbligo morale di tornarlo a trovare con un bottiglia tappata degnamente.

Tornato a casa, mi spoglio per indossare la calda tuta dentro la quale sono solito poltrire sul divano. Butto i jeans accanto alla lavatrice e sorrido nel vederli sporchi di fango, così come sporche sono le scarpe, appoggiate con cautela sul pavimento per non disseminare terra ovunque. Mi siedo ripensando al ricordo fresco della bella avventura passata in questo pomeriggio d’inizio gennaio.
Ho conosciuto Luca un paio di anni fa grazie al suo prosecco Colfondo, a Twitter e a una manciata di amici in comune: ci siamo rincorsi e sfiorati senza mai trovarci in una pletora di fiere vinicole, ma solo lo scorso gennaio ho finalmente sporcato i miei pantaloni nei suoi vigneti e sbattuto le scarpe con attenzione prima di entrare in casa sua, avendo l’accortezza di lasciare meno impronte possibili.
Tutto è stato programmato in quattro e quattr’otto poco prima che finisse il 2012, chiedendo ad alta voce dal divano “Ma se andassimo a visitare Bele Casel?” e sentendomi rispondere dalla cucina “Beh, perché no?”: da lì una rapida conversazione a colpi di direct messages via Twitter, dal finale inevitabile:
– Luca, posso venire a visitare la tua azienda?
– Certo, cosa vuoi vedere?
– Tutto: dalla vigna alla bottiglia.
– Ci vorranno due o tre ore come minimo…
– Se per te va bene la cosa non mi spaventa, anzi!
– Figurati, a me piace parlare del mio lavoro!
Prende forma in questo modo l’incontro con Luca Ferraro, titolare insieme al padre Danilo dell’azienda agricola Bele Casel (http://www.belecasel.it/).
Bele Casel ha sede in via Moresca a Caerano San Marco, piccolo comune in provincia di Treviso poco distante dalla meravigliosa Asolo (http://www.asolo.it/) e dall’incantevole villa palladiana di Maser (http://www.villadimaser.it/). Zona caratterizzata da terreni in buona parte argillosi e ricchi di ferro, dove la pianura comincia a lasciar spazio a colline non troppo alte e i vigneti riempiono lo spazio verde: la Glera regna sovrana.
“Metti 138 come numero civico nel navigatore, 136 di solito non c’è!”
Con buona pace di Luca, il mio navigatore ha salomonicamente deciso di non considerare per intero la numerazione di via Moresca, costringendomi a percorrerla tutta un paio di volte prima di provare, stremato, a imboccare una via laterale dal sapore dell’ultima spiaggia: accedo così all’ampia corte che unisce casa e cantina, a fare gli onori di casa uno scodinzolante e speranzoso cagnolino, Ettore, che precede di poco il suo sorridente e gioviale padrone.
Neanche il tempo di salutarci e stringerci la mano che siamo già risaliti in macchina per sfruttare il sole insperabilmente caldo e fare un giro nei vigneti.
La prima tappa alla scoperta dei circa 11 ha di cui consta l’azienda è un vigneto sito nel comune di Caerano, di circa un ettaro di estensione. Si tratta dell’ultima acquisizione dell’azienda e Luca ce lo mostra per il suo inequivocabile valore didattico. I filari partono da alti pali in cemento sormontati da sistemi di irrigazione “a girella”, di fatto superflui considerando esposizione e caratteristiche del terreno e che per questo testimoniano la volontà di raggiungere la più elevata produzione possibile. Ulteriore conferma giunge dalle pergole poste alla testa di ogni filare, i bellussi: si tratta di una vigna soppalcata posta perpendicolarmente all’andamento dei filari principali e molto in voga in passato tra i piccoli produttori della zona. In qualche modo trovo inevitabile sorridere di fronte a questo accanimento produttivo dall’apparenza buffa, ma il sorriso che Luca ricambia è venato di amarezza, consapevole delle problematiche insite nel successo commerciale del Prosecco e della trappola rappresentata dalla smania di produrre grandi quantitativi di uva adatta alla vinificazione.
Lui ha deciso di condurre questo vigneto lavorando in modo diametralmente opposto ai suoi predecessori: basse rese, nessuna irrigazione, nessun utilizzo di fitofarmaci e l’impiego del solo rame per i trattamenti secondo i dettami dell’agricoltura biologica. La vite ovviamente sta stentando ad abituarsi a un cambiamento tanto radicale e servirà ancora del tempo prima che raggiunga una nuova condizione di equilibrio, ma c’è tanta fiducia perché il terreno ha un’ottima esposizione e l’età mediamente alta delle piante fa ben sperare per il futuro.
Diamo un’ultima occhiata ai curiosi bellussi e risaliamo in macchina per raggiungere il vigneto più grande dell’azienda (5,5 ha), nel limitrofo comune di Cornuda.
Varchiamo il cancello che delimita la proprietà e il vecchio cartello che indica il regime di lotta integrata porta inevitabilmente a parlare di chimica, di trattamenti e di biologico, argomenti decisamente in voga nell’attuale eno-dibattito. Apprezzo il pragmatismo di Luca nell’affrontare la questione, mentre ci racconta come nel corso degli anni l’azienda sì è progressivamente convertita al regime biologico sulla base di due semplici e ragionevoli motivazioni: innanzitutto la qualità della materia prima, che è nettamente più alta rispetto a prima; in secondo luogo la minore dispersione di elementi nocivi nell’ambiente. Lontano da una posizione integralista e fine a se stessa, sostiene che la lotta integrata non è nociva in sé, ma lo può diventare a causa degli eccessi di molti viticoltori: a sostegno della sua tesi riporta la figura di Armin Kobler (http://www.kobler-margreid.com/) , talentuoso vignaiolo altoatesino che opera in regime di lotta integrata producendo vini di indiscutibile qualità e che fa non più di tre o quattro trattamenti all’anno, contrapponendola ai “vecchiotti” che coltivano uva nel dopo lavoro o da pensionati (sono tantissimi in questa zona) che per paura di perdere il raccolto e vanificare la loro fatica preferiscono fare un trattamento in più per stare tranquilli, con tutto quel che ne consegue a livello ambientale. I dubbi e le riflessioni del vignaiolo coinvolgono anche il regime biologico in cui lavora, con la consapevolezza delle potenziali problematiche legate alla dispersione di rame nell’ambiente: si tratta pur sempre di un metallo pesante ed è necessario studiare soluzioni alternative per diminuirne l’impatto. Senso critico e sperimentazione sono testimonianza di una sensibilità non comune e di un profondo rispetto della terra.
Parliamo di queste cose mentre camminiamo tra i filari inerbiti ad avena per contrastare l’eccessiva rigogliosità della vite. Luca accarezza le piante e spiega il perché di ogni scelta, di ogni tentativo e sbuffa mentre scavalchiamo le buche lasciate qua e là da qualche goloso cinghiale.
Lasciamo Cornuda alle nostre spalle e fiancheggiamo la meravigliosa villa palladiana: siamo a Maser, dove si trova il vigneto più importante. Un cru di circa un ettaro di estensione, caratterizzato da una perfetta esposizione, da pendenze più marcate che limitano la meccanizzazione al minimo sindacale e da un’escursione termica tra giorno e notte più elevata. Qui nascono il Millesimato Dry e il Colfondo, un prosecco metodo classico fatto “alla vecchia maniera” lasciando i lieviti di rifermentazione in bottiglia (il fondo, appunto). Se è vero che Luca ha sempre parlato con trasporto del suo lavoro, vedo che ha gli occhi particolarmente luminosi mentre camminiamo tra i filari di questo bel vigneto, un’immagine bucolica fatta di luci, colori e percorsa dalla poetica nodosità delle vecchie vigne.
L’ultima tappa del nostro lungo giro è la cantina, per seguire il percorso della Glera fin dentro la bottiglia. Con un certo orgoglio Luca mostra la nuova pressa a polmone, da cui parte il condotto che scende in cantina e raggiunge i vasi in acciaio. Una dozzina di grandi vasi a temperatura controllata interconnessi tra loro: sfruttando l’anidride carbonica prodotta dalla fermentazione alcolica del primo mosto, viene fatta uscire tutto l’aria in essi contenuta, limitando le possibilità di contatto del vino con l’ossigeno. In questo modo si evitano ossidazioni potenzialmente pericolose per un’uva fragile come la Glera ed è possibile limitare l’utilizzo di solfiti, a tutto vantaggio di prodotto e consumatore. Dopo la prima fermentazione alcolica i vini base prendono due strade: parte del vino base della vigna di Maser viene messo in bottiglia con aggiunta di liqueur de tirage per diventare il Prosecco Colfondo, la rimanenza diverrà il Prosecco Millesimanto Dry, mentre il vino ottenuto dai frutti degli altri vigneti diverrà Prosecco Brut o Prosecco ExtraDry. Tutte le operazioni di spumantizzazione, siano secondo il metodo classico o secondo il metodo Martinotti, vengono condotte direttamente in cantina con impiego di lieviti selezionati, così come imbottigliamento ed etichettatura.
Arriva quindi il momento di entrare in casa ed assaggiare i vini, ma non prima di aver dato una sbirciata al vigneto dietro casa e fare due chiacchiere sull’inerbimento a leguminose, perché qui il terreno è meno generoso che a Cornuda e necessita di nutrimento. Quindi, pieni di fango e di imbarazzo ci affacciamo alla sala da pranzo in punti di piedi.
I vini.
– Prosecco Brut
“Io vorrei arrivare all’extra brut, è fuori disciplinare e mio padre non ci crede molto, ma io sono convinto che lo potremmo fare e che sarebbe un prodotto interessante.”
Giallo verdolino brillante e trasparente, con un perlage mediamente fine e molto persistente. Al naso, intenso e pulito, sentori di fiori e frutta bianchi, con una nota facilmente riconoscibile di pera matura. In bocca è piacevolmente grasso e rotondo sulla lingua, con un’opulenta riconferma della frutta bianca. Fresco ed estremamente sapido, ha una buona persistenza e invita al sorso successivo. Decisamente piacevole, la sensazione è che un extra brut sarebbe ancora più interessante.
– Prosecco Millesimato Dry
Primo esperimento di differenziazione dell’azienda, a qualche anno dalla sua introduzione Luca guarda con accondiscendenza a quella che lui per primo ritiene un’ingenuità prima ancora che una forzatura: un prosecco millesimato pare una negazione in termini, ciò non di meno il liquido versato nel bicchiere è motivo di istantaneo interesse. Giallo verdolino scarico, con appena un accenno di rosa a complicare l’incasellamento, dotato di un perlage fine e persistente. Al naso la pera lascia rapidamente il posto alla pesca e all’albicocca, la dolcezza aromatica si intuisce ma non dà alcun fastidio, ben calata com’è nel contesto. In bocca la prima sensazione è come di marmellata di albicocche su pane tostato, golosa, con l’acidità che rinfresca, pulisce e lascia in bocca una lunghissima persistenza del frutto unita a una piacevole nota sapida. Vino di grande eleganza.
– Prosecco Colfondo
Quest’ultimo prodotto rappresenta per Luca un’occasione da non perdere: il Colfondo è la riscoperta delle modalità di spumantizzazione della Glera precedenti all’introduzione del metodo Martinotti e a lungo utilizzato nelle produzioni di prosecco per autoconsumo, un Metodo Classico in cui non avviene la sboccatura. Appena versato nel bicchiere fa pensare a una bière blanche, birra belga velata e acidula dalla tipica nota agrumata. L’impressione viene confermata dal naso, con lievito e agrumi che sprigionano dal bicchiere per lasciare poi spazio alla pera, all’albicocca e lasciare una curiosa nota di liquirizia. In bocca la lunga permanenza sui lieviti trasforma il frutto e divora lo zucchero, dando vita a un insieme secco, fresco e fortemente gastronomico: più degli altri, questo vino chiama il cibo. Persistente la nota agrumata, quasi citrina, e spiccata la sapidità: mi guardo qua e là cercando una fetta di sopressa che purtroppo non trovo e penso che sia un grande peccato.
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Del Buttafuoco di Fiamberti, del Buttafuoco di Picchioni e dell’importanza di obbligarsi a scrivere.

Stamattina è stato pubblicato il mio terzo articolo su World Wine Passion.

Si tratta solo del terzo articolo unicamente per colpa mia.

Alcune delusioni esterne a WWP e un momento professionalmente non facile hanno reso la percezione dei miei sogni confusa e mi sono rifugiato nella mia comoda pigrizia.

Il pericolo di certo non è scampato, ma ora scusatemi, devo riprendere la scrittura del prossimo!

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World Wine Passion

Con la pubblicazione ieri del mio primo articolo sono ufficialmente diventato uno degli autori di World Wine Passion, magazine on line di cultura enogastronomica.

Emicranie quindi cambia un pochino, diventando insieme a tumblr il luogo di gestazione e ulteriore riflessione attorno agli articoli che scriverò per WWP.

Chissà che una volta tanto non abbia trovato una buona cura alla mia insanabile pigrizia 🙂

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Zidarich, prima delle Monografie Enocratiche, ovvero del perché soffro nell’avere i martedì impegnati dal corso ONAV

Anna, Davide e Samuele mi devono perdonare per almeno due motivi: il primo è l’aver tardato così tanto nello stendere questo post. L’altro è non aver mai scritto qualcosa semplicemente su di loro… loro lo sanno: non riuscirei a parlare di Enocratia e di quello che loro sono diventati per me senza correre il rischio di sembrare uno sviolinatore professionista… e allora lascio che quanto di buono e di bello loro mi regalano ogni volta traspaia qua e là, tra una foto, un bicchiere e un racconto.

Zidarich @ Enocratia

Benjamin Zidarich, interprete del Carso.

Zidarich @ Enocratia

Malvasia 2008 (in bocca al momento dello scatto), Vitovska 2008 nel bicchiere attende.

Zidarich @ Enocratia

Sorprese nel piatto.

Zidarich @ Enocratia

Eugenio Boer gioca abbinamenti geniali.

Zidarich @ Enocratia

Malvasia, Vitovska, Prulke e Terrano. Tutti 2008, tutti in magnum.

Zidarich @ Enocratia

Chiacchiere di vigna e cantina.

Zidarich @ Enocratia

Il ristoratore milanese che preferisco e un vignaiolo grande interprete del Carso.

Zidarich @ Enocratia

Terrano passito: piccolo gioco divenuto un gioiello.

Martedì 6 novembre è stata la volta dell’Agricola Cirelli, io ero a Vicenza per lavoro… e mi sono pure perso la lezione ONAV!

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Della Val Camonica, dell’Erbanno, di Enrico Togni e di molte altre cose…

:)

Ci sto mettendo molto per scrivere questo post e sentire Enrico parlare della Val Camonica, di questa Valle che enoicamente parlando non c’è, un po’ mi fa capire perché fatico così tanto nel mettere in fila le parole.

Forse ci voleva questa amuse bouche in formato video per trovare la forza di infilare la tastiera sotto le dita… grazie Davide!

:)

Perché per me parlare del coraggio di Enrico è tutt’altro che facile.

Pensate cos’è guardare a una terra che si è deciso di lasciare senza troppi pensieri né grandi rimpianti, luogo di bellezza immensa sfigurato dall’idiozia di generazioni di inetti.

:)

Dite che l’ho sparata troppo grossa? È per questo che mi guardate tutti male? Può essere, ma non riesco a fare a meno di ripensare ai capannoni che rumoreggiano alle mie spalle mentre scatto questa foto e spero che i vostri sguardi cattivi siano verso di loro, non verso di me.

Perché la Valle è questo: troppi capannoni ammassati in malo modo, senza quel minimo di attenzione che li renderebbe accettabili, che li valorizzerebbe nel loro fondamentale atto di sostegno e sostentamento.

Perché parlare di Enrico Togni e dei suoi vini senza parlare della Valle è impossibile e insensato.
E se penso alla Val Camonica, dove sono nato e cresciuto, mi arrabbio con una certa facilità.

:)

La cosa odiosa è che poi diventa difficile dare chances a quel che di buono riesce a nascere qui: non lo nego, ho sempre guardato ai vini della Valle nel loro insieme con una certa diffidenza che, considerando alcuni prodotti, risulta nevvero quanto meno fondata.

Ho capito che stavo facendo un errore nel mettere Enrico nel calderone non meglio identificato dell’avventura enoica camuna solo parlando con la comune camuna amica Lucia Bellini, persona eccezionalmente seria, pratica e disillusa.

:)

Non posso che dirle grazie.

:)

Enrico parla con umiltà, ma è deciso e sicuro quando racconta la sua vigna, il modo in cui lavora: lontano da facili romanticismi, vignaiolo eroico per necessità e per passione, spiega scelte pragmatiche e intelligenti, al limite dell’ovvio alla luce delle sue osservazioni. Osservazioni che sanno più di saggezza contadina che di schieramento etico/modaiolo/radicale/hippy (continuate l’elenco come volete).

:)

Affronta giornalisti, blogger, appassionati, valligiani ed ex valligiani insieme ai suoi due agronomi: si fida di loro, ne percepisco schiettezza, armonia, compattezza di intenti e vedute e sentire il racconto del loro lavoro è meraviglioso. Amano quello che fanno e non si perdono in chiacchiere: vanno dritti al punto e io resto lì a pensare “Cavolo…”

:)

Parlano dell’Erbanno, vitigno indigeno forte e resistente, delle sue somiglianze con Grumello e Maestri, di quanto sia conveniente in termini di lavoro in vigna, di quanto si può risparmiare sui trattamenti (tempo, fatica, salute)… Cavolo (ancora)… Una scelta dichiaratamente utilitaristica, prima ancora che etica, che hanno il coraggio di mettermi davanti al naso in tutta la sua lineare semplicità.

Chapeau.

:)

Inciso: sfruttando una metafora calcistica che non mi appartiene, vedo in Enrico un mediano generoso, porta palla e offre assist preziosi. Il primo lo vediamo in vigna, dove dà spazio a chi come lui ha deciso, guidato da un inequivocabile buonsenso, di seguire la strada di un biologico non dichiarato, ma di fatto presente: non è mai troppo tardi per scoprire che a Gorzone si coltivano mele di rara bontà.

:)

E poi viene il momento dell’assaggio, ché le parole dette si tramutino in fatti e l’Erbanno dia vita al San Valentino. Rosso rubino intenso, elegante; naso di frutta rossa matura e golosa, mai stucchevole, lieve austerità; in bocca scivola veloce, calore adeguato e un’acidità addomesticata a dovere (incredibile, un vino camuno senza spunto acetico smaccato e scomposto… ma allora si può fare!), naso confermato e ampliato, beva al limite della pericolosità.

:)

Secondo inciso: il Togni mediano tira un secondo assist micidiale (sa dio perché mi butto di nuovo in questa metafora…) e sottopone ai suoi ospiti un banco d’assaggio dove troviamo praticamente tutti i produttori della Valle: considerando i miei compagni di degustazione, si tratta di un’occasione importante, forse non colta nella sua interezza da molte delle persone coinvolte. Valligiani che nella loro chiusura sono la rappresentazione vivente di quei maledetti capannoni che rumoreggiano sempre alle mie spalle.
Mmm.

:)

E finisce che ci ritroviamo qui, a un tavolo nel dehors del ristorante dove il banco d’assaggio ha luogo. Finalmente è bello dare un volto a un nickname, confrontarsi, scherzare, riflettere: dalla rete è partito tutto e con gli amici di rete siedo ciarliero e beato.

:)

Si improvvisa un simposio di filologia dialettale, dove astigiano, emiliano e romagnolo vengono a turno confrontati con l’ostico idioma camuno. E intanto scopro la mano di Enrico e il suo modo di leggere il territorio nei sorsi di un merlot impressionante, condiviso con i miei amici di bicchiere insieme alle chiacchiere e a un pezzo di formaggio.

:)

Ripenso a quel week end, passato da eno turista in una terra che è stata a lungo la mia casa: ci ripenso spesso e continuo a farlo mentre rileggo queste parole limando, aggiungendo, togliendo.
Rabbia a pacchi per quei maledetti capannoni.
Ma quanta gioia per il coraggio di Enrico.

:)

P.s.: molti dei miei compagni di ventura (tutti?) hanno scritto prima di me, conto di aggiornare a breve questo post con la doverosa aggiunta dei link.

P.p.s.: eccoli!

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Buttafuoco Luogo della Cerasa 2010 – Andrea Picchioni – Canneto Pavese

Pavia - il Ponte dell'Impero intravisto dal Ponte Coperto

A volte ti trovi stretto tra un paio di contingenze, mentre leggi un libro seduto sul treno rivolto verso casa.

Ti trovi a pensare al perché sei in treno e non in macchina, sorriso amaro, e rifletti sul lato positivo del leggere, attività deprecabile se svolta alla guida di un automezzo.

Pensi anche che dopo domani il dentista ti metterà pesantemente le mani in bocca, presto inizierai a prendere l’antibiotico e per qualche giorno le grosse e invadenti pastiglie ti accompagneranno mettendo il tuo organismo in ginocchio.

Sai che Anna è già a casa, sai che un’idea di cena è già definita, eppure vieni preso dall’infantile necessità di una coccola, di un gioco… la prospettiva di una pasta zucchine e melanzane, con la pioggia e il freddo che fa in questo maggio insicuro, proprio non ti aggrada.

E allora telefoni e dici che alla cena ci pensi tu, meditando una rapida incursione in via Bossolaro per prendere il miglior kebab di Pavia (non accetto smentite di sorta) e dei falafel, chiedendo di trasformare zucchine e melanzane in un contorno.

E vuoi stappare una bottiglia, ma non sai cosa. Chiudi un attimo il libro, alle tue spalle fuori dal finestrino risaie e cascinali scivolano veloci come striature nella pioggia, mentre passi in rassegna la cantina.

Provi a pensare ai sapori della pietanza e piano piano scarti qualcosa; a una stazione intermedia una folata d’aria e qualche goccia di pioggia ti ricorda del freddo e su due piedi scarti bianchi e bollicine (oh… a me piace chiamarle così… mi fa tenerezza!); esamini i rossi, indeciso…

E un’ora dopo ti ritrovi seduto a casa, un piatto speziato e invitante di fronte, ne percepisci il calore e ti dici che fuori può pure piovere.

Sul tavolo una bottiglia di Buttafuoco, uvaggio espressione di un terroir che ami profondamente e che tanto è bistrattato, l’Oltrepo Pavese, tuo vicino di casa.

#BufalaMI

Luogo della Cerasa, 2010. Azienda Agricola Picchioni Andrea in Canneto Pavese PV.

E ti sembra di vedertelo davanti Andrea, mentre stappi la bottiglia.

Al tuo naso, ben poco ammaestrato ma molto curioso, la mescolanza di barbera, croatina e vespolina si presenta intrigante. Ti fa pensare al pinot nero, ma non sai bene perché. Ti godi l’impatto e cerchi di capire di cosa è composto il profumo, cosa ti piace. Mora, intensa. Come il colore.

In bocca il vino è fresco, fruttato, appena carnoso, ma in modo piacevolmente sornione: l’acciaio, dove avvengono macerazione e un’affinatura di sei mesi, forse spiega questa facile beva.

Né tronfio, né invadente, ma indubbiamente deciso, il bicchiere fronteggia l’ottomano asserragliato nel piatto senza paura.

E tu sei tutto contento, perché una volta tanto hai azzeccato un abbinamento.

Luogo della Cerasa - Picchioni

Io l’ho comperato direttamente da lui, che è persona gentile e amabile, ma a Pavia si trova da InOltre e alle Scuderie del Borgo senza difficoltà, a un po’ meno di dieci euro.

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metti un pomeriggio inaspettato a Torino…

mole italica

La Mole è ciò che non ho visto martedì scorso: nel traffico nervoso di una Torino appena bagnata dalla pioggia mi sono voltato a destra e a sinistra, in alto e in basso, ma per una volta la Mole Antonelliana non l’ho vista.

Luigi

Luigi, ospite, tramite e gentiluomo: con la scusa di consegnargli quattro bottiglie di (manco a dirlo) Barbacarlo mi sono trovato proiettato in un pomeriggio inaspettato. Sorrido.

bau

Bau, perché il nome non lo ricordo e i bambini i cani li chiamano così, bau. Ha messo in chiaro rapidamente il proprio ruolo di guardiano e di ospite. Pat pat.

Vittorio

Vittorio, curioso, inarrestabile, sagace: volevo sorprenderlo arrivando nella sua edicola a Cavoretto. Lui, assente, ha vinto. Ritrovato a casa di Luigi mi saluta dicendo: “Non penserai di tornare a casa presto, vero?”

fragole

Fragole, nel giardino. Ancora presto per allungare le mani, ma promettono bene.

Anna

La gioia nell’essere raggiunto da Anna, eroica, salita sul treno delle sei e recuperata a Porta Susa da Vittorio due ore più tardi, mentre io e Luigi simulavamo indifferenza parcheggiati in quadrupla fila fuori dalla stazione.

Martedì scorso è stata una giornata preziosa: la mattinata trascorsa con Davide Dutto, fotografo sensibile e attento, conosciuto per lavoro e per questo periodicamente ritrovato mi ha dato la possibilità di vedere e rivedere i suoi lavori, di parlare dei suoi progetti e dei suoi crucci, ha fatto da prologo a un’entusiasmante invasione in terra sabauda.

Sorrido ripensando alle ore trascorse, alle parole dette e alle bottiglie viste, soppesate, aperte, bevute. Bottiglie fatte di persone e da persone, bottiglie come allegorie o come pretesto per rimanere interdetti di fronte a profumi e sapori, tanto quanto davanti a riflessioni e rivelazioni. Battute salaci, brevi imbarazzi, momenti di fugace amarezza che diventa consapevolezza e necessità di rivalsa, sorrisi che sbocciano in risate sincere.

Ho la piacevole sensazione di essere un poco più ricco mentre torno a casa, di notte, Anna che dorme accanto a me.

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